Le risposte dell’avvocato Luciano Gallo alle domande di CSVnet per fare il punto sul rapporto tra pubblica amministrazione e non profit alla luce della recente sentenza della Corte Costituzionale che scioglie alcuni nodi su co-programmazione e co-progettazione

di Lara Esposito

Tornano i question time di CSVnet, format di approfondimento sulla normativa per il terzo settore con le risposte degli esperti alle domande su terzo settore e non profit in generale. In questa uscita, l’avvocato Luciano Gallo, esperto di rapporti con la Pubblica amministrazione e membro del gruppo di lavoro su “I rapporti fra PA ed enti del Terzo settore negli articoli 55-57 del d. lgs. n. 117/2017”, istituito dal Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, designato ad ANCI nazionale fa il punto sul rapporto tra enti pubblici e non profit alla luce della recente sentenza 131/2020 della Corte Costituzionale dello scorso 26 giugno.

In questa occasione, la Corte ha chiarito alcuni aspetti interpretativi che riguardano il rapporto tra pubblica amministrazione e enti del terzo settore alla luce delle indicazioni del dlgs 117/2017 (codice del terzo settore), in particolare gli articoli 55 e 56 (co-programmazione e co-progettazione). Ecco le risposte dell’avvocato Gallo.

Cosa cambia dopo la sentenza n. 131 dello scorso 26 giugno?

La Corte costituzionale fa un mestiere preciso che è quello di essere il giudice delle leggi, oltre a separare i litiganti in conflitti di attribuzione tra Stato e Regioni. Nell’ambito di questo mestiere, la Corte Costituzionale ha fatto molto di più di quello che poteva fare, chiarendo in modo definitivamente pacifico il rapporto che c’è tra il Codice dei contratti pubblici da un lato e il Codice del Terzo settore. Il primo è il luogo della competizione, il secondo è quello della collaborazione. L’importanza di questa sentenza risiede nel fatto che d’ora in avanti abbiamo un quadro del rapporto tra ordinamenti, quindi Unione Europea e Stato membro, un rapporto più chiaro tra il Codice dei contratti e il Codice del terzo settore e, quindi, una differenziazione precisa tra la competizione, la finalità dei mercati concorrenziali, e la collaborazione che deve guidare i rapporti tra pubblica amministrazione ed enti del terzo settore, ispirati al principio costituzionale di sussidiarietà orizzontale.

Quali sono le condizioni di base per attivare percorsi di co-programmazione e co-progettazione?
Il primo ingrediente per una buona ricetta di co-programmazione e co-progettazione è la consapevolezza politica di un ente pubblico rispetto a questi strumenti, perché deve esserci una volontà precisa per attivare un rapporto di collaborazione fondato sul principio di sussidiarietà orizzontale. Queste procedure sono in primo luogo una scelta politica di creare un’amministrazione condivisa, come dice la Corte Costituzionale.

La seconda condizione base auspicabile è che la volontà di intrattenere rapporti di sussidiarietà sia declinata in termini generali, ad esempio, all’interno dei regolamenti dei vari comuni. In questo modo avremmo un evidente indirizzo omogeneo approvato dai consigli comunali ed una legittimazione politica che aiuterebbe i singoli dirigenti ad attivare direttamente le procedure di co-programmazione e co-progettazione.

La terza condizione di base è la consapevolezza che una buona co-programmazione e co-progettazione non è una strada per eludere l’applicazione del Codice dei contratti pubblici per affidare dei servizi. In altri termini, le procedure di sussidiarietà orizzontale hanno finalità diverse, quelle di costruire fin dalla fase iniziale di analisi dei bisogni e di costruzione delle politiche, un percorso condiviso. In una normale procedura d’appalto, invece, l’amministrazione è un buyer che ha le idee chiare e un budget a disposizione, che applica la cosiddetta legge speciale con un bando e cerca solo un mero prestatore di servizi.

Quali sono i principali step da seguire per attivarli?

Sono innanzitutto quelli di un procedimento amministrativo. Agiamo, quindi, all’interno di un quadro abbastanza noto considerando che fin dal 1990 esiste la legge sui procedimenti amministrativi. La prima fase è quella dell’iniziativa. La riforma del terzo settore chiarisce definitivamente che non c’è solo l’iniziativa della parte pubblica che si esplica in un bando o in un avviso pubblico, ma c’è anche quella privata. Purtroppo gli enti del terzo settore (Ets) in Italia, dopo tre anni dalla riforma, hanno colto poco l’opportunità che siano loro stessi a formalizzare una proposta per attivare una co-programmazione e una co-progettazione nata dalle loro stesse aspettative, bisogni e sapere.

A quel punto, l’amministrazione valuta questa proposta e, se lo ritiene, pubblica un avviso che, a differenza di quello dell’iniziativa pubblica, ha come riferimento da un punto di vista progettuale non più un documento o un’idea della pubblica amministrazione, ma si limita a comunicare a tutti che un ente del terzo settore singolo o associato ha formalizzato una proposta. Come in un qualsiasi procedimento amministrativo, c’è poi la valutazione delle domande e delle proposte progettuali da parte di una commissione. Non bisogna scandalizzarsi se una commissione attribuisce dei punteggi visto che lo si fa anche con i concorsi e questo non significa spostarsi nel Codice dei contratti pubblici. Il procedimento si chiude con un atto conclusivo della Pa e la sottoscrizione di una convenzione che diventa il titolo giuridico per declinare i diritti e i doveri reciproci tra le parti.

(Fonte: CSVnet)

 

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