Sono passati più di dieci anni dalla riforma del Terzo Settore da parte del Governo Renzi, ossia nel 2014. Da quelle linee guida ha preso avvio il percorso della legge delega (n. 106 del 2016) e successivamente l’adozione dei decreti legislativi nel 2017.
In dieci anni, nonostante si siano alternati molti governi, il Terzo Settore ha sempre avuto un ruolo di rilievo, tanto da divenire quasi un tema su cui si registra un consenso trasversale. Tuttavia, si fatica a comprendere che il Terzo settore non è semplicemente un capitolo delle politiche sociali o un punto di una riforma fiscale, ma è, complessivamente, un metodo di costruzione di politiche pubbliche innovative che si fonda sull’attivazione collettiva e libera delle persone in forme che l’ordinamento ritiene meritevoli.
Non bisogna dimenticare inoltre che la riforma del Terzo Settore è una riforma piuttosto difficile, che tocca alcuni nodi costituzionali delicatissimi.
In più, aver dettato una definizione di ente del Terzo settore capace di capire un fenomeno con numerose sfaccettature e connotato da una pluralità di forme giuridiche, modelli organizzativi, ambiti di attività e modalità operative, è stato un elemento di impatto significativo.
Il passaggio più rilevante del decennio è, indubbiamente, costituito dall’istituzione del registro unico nazionale del Terzo settore: esso consente da una parte l’accesso al regime promozionale ma anche l’esigenza di trasparenza e conoscenza da parte di tutti gli stakeholders.
Inoltre, la riforma ha dato vita a una serie di misure promozionali a carattere nazionale e stabile, la cui attuazione ha però registrato diverse criticità.
Toscana, Emilia-Romagna, Piemonte, Umbria, Molise nel corso di questo decennio hanno calibrato il quadro normativo nazionale a livello regionale. È ragionevole pensare quindi che, nel corso del prossimo decennio, tutte le Regioni italiane si impegneranno nella realizzazione di una legislazione sul Terzo Settore.
Il vero punto aperto, però, rimane la disciplina fiscale. La sfida è dunque quella di costruire un diritto tributario del Terzo Settore, che sia il riflesso del suo riconoscimento costituzionale: va riconosciuto il contributo al finanziamento della spesa pubblica che proviene dal Terzo settore, nelle sue plurime qualifiche in quanto avere una disciplina compatibile con il diritto Ue, ma non coerente con il principio di sussidiarietà, così come riconosciuto dalla nostra Carta costituzionale, è un rischio.
Infine è importante fare una riflessione approfondita sul futuro del Terzo Settore in Europa nei prossimi dieci anni, con un focus particolare sull’attuazione del Piano d’Azione europeo sull’economia sociale. Le sfide da affrontare saranno diverse:
- La “perimetrazione” dei soggetti dell’economia sociale, ovvero la definizione precisa di quali enti facciano parte del Terzo Settore;
- La necessità di valutare in modo attento le implicazioni del Piano d’Azione a livello nazionale, specie alla luce del mutevole panorama politico dell’UE;
- L’interazione tra le misure nazionali e internazionali, sottolineando come le esperienze italiane di successo (quali ad esempio l’amministrazione condivisa) potrebbero essere valorizzate a livello europeo.
In definitiva dunque, il prossimo decennio sarà cruciale per capire come le comunità interpreteranno e daranno forma alle loro libertà sociali, aprendo nuove frontiere per il Terzo Settore.
Fonte: Cantiere Terzo Settore