La collaborazione tra pubblica amministrazione e Terzo settore è un modello che supera la logica dell’appalto in regime di concorrenza per rispondere ai bisogni collettivi. Un’analisi dei principali dispositivi e del suo funzionamento. Nella realizzazione di opere e servizi la pubblica amministrazione (Pa) tende sempre più a esternalizzare l’attività. Piuttosto che agire da sola, la pa si rivolge a imprese private, con cui instaura un rapporto di scambio: la pubblica amministrazione remunera i soggetti di cui si avvale e riceve come “corrispettivo” la fornitura dei servizi necessari o la gestione di beni comuni. A questo modello non sfuggono gli enti del Terzo settore. A seguito della normativa europea sulla concorrenza e delle politiche di austerità adottate dopo la crisi del 2007-08 (Borzaga et al 2023), i rapporti tra pubblica amministrazione ed enti del Terzo settore sono stati tradizionalmente impostati nelle forme dell’appalto di servizi in regime di concorrenza. In tal modo, gli enti del Terzo settore si sono trovati ad agire in un contesto potenzialmente assai competitivo, spesso rivestendo il ruolo dello “sfavorito” nel confronto con imprese ben più strutturate. Il codice del Terzo settore ha, infatti, previsto rapporti di collaborazione tra pubblica amministrazione e soggetti privati che superano la logica dell’appalto in regime di concorrenza per adottare un modello di partnership, nel quale pubblica amministrazione e privati progettano e realizzano su un piano paritario gli interventi necessari per rispondere alle esigenze più decisive della società civile. Secondo la formula coniata da una celebre sentenza della Corte Costituzionale (Corte cost., n. 131/2020), questo approccio è abitualmente identificato con l’espressione “amministrazione condivisa”. Esaminando più da vicino il modello, la Corte costituzionale ha individuato il fondamento dell’amministrazione condivisa nella “convergenza di obiettivi” e nella “aggregazione di risorse pubbliche e private” per la “programmazione e progettazione in comune” di iniziative solidaristiche da parte della pubblica amministrazione e degli enti del Terzo settore (Corte costituzionale, n. 131/2020). La co-progettazione è volta alla definizione e alla realizzazione di “specifici progetti di servizio o intervento” per soddisfare i bisogni eventualmente individuati nella fase di co-programmazione (art. 55, comma 3, codice del Terzo settore). Attraverso la co-programmazione, dunque, la pubblica amministrazione e gli enti del Terzo settore si “siedono insieme al tavolo” per definire da un punto di vista progettuale le esigenze emerse in determinati ambiti della società civile e le possibili azioni da realizzare per soddisfarle. Seppure la normativa non preveda che la co-progettazione segua necessariamente ad una fase di co-programmazione, le forme collaborative sembrano essere pensate come due procedimenti tra loro complementari, dal momento che il primo ha vocazione programmatica, mentre il secondo ha natura operativa. Ponendo una modalità nuova nel ragionare sui bisogni delle persone e sui mezzi che possono servire per il loro soddisfacimento, l’amministrazione condivisa rappresenta la possibilità di alleviare le criticità emerse nell’attuale fase storica, valorizzando il contributo che sia la pubblica amministrazione che il Terzo settore possono offrire. La pubblica amministrazione può avere le risorse che mancano al Terzo settore, mentre quest’ultimo può con maggior puntualità aiutare la prima a individuare i bisogni e gli strumenti per farvi fronte.

 

Fonte: Cantiere Terzo Settore

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