La materia si presenta assai complessa, ragione per cui per risultare più chiari possibile procediamo qui in maniera sintetica e per punti, tutti comunque sa approfondire.

Per le organizzazioni di volontariato non si considerano commerciali le attività poste in essere per procurarsi le risorse necessarie al sostentamento dell’ente, che dunque rientrano in una raccolta fondi da considerare come istituzionale ai fini tributari. Ci riferiamo alla vendita di beni ricevuti gratuitamente da terzi o prodotti dagli assistiti, alla cessione di beni prodotti dai propri assistiti o dai volontari e alla somministrazione di alimenti e bevande in occasione di raduni, manifestazioni, celebrazioni e simili, se svolte occasionalmente (Codice del Terzo settore, d’ora in poi CTS, art. 84, c. 1, lett. a).

Per le associazioni di promozione sociale, le vendite di beni ricevuti da terzi a titolo gratuito ai fini di sovvenzione, a patto che le stesse siano curate direttamente dall’organizzazione, senza intermediari e siano svolte senza l’impiego di mezzi organizzati professionalmente per fini di concorrenza sul mercato, sono decommercializzate (CTS, art. 85, c. 6).

Rilevante sotto il profilo fiscale è l’esistenza di un nesso di corrispettività tra ciò che si offre e ciò che si riceve (si tratti di un servizio o della cessione di un bene). Ne consegue che bisogna raccogliere solo delle libere offerte (erogazioni liberali), le quali devono essere corrisposte per il raggiungimento dei fini istituzionali dell’ente e non per ricevere (acquistare) qualcosa. In questo caso non esiste alcuna imponibilità ai fini IRES (art. 81 del TUIR) e IVA.

Aggiungiamo che le raccolte pubbliche di fondi (anche mediante offerta di beni o servizi di modico valore), se occasionali (art. 7 del CTS) e in concomitanza di celebrazioni, ricorrenze, campagne di sensibilizzazione) non risultano imponibili ai fini IRES e non soggette a IVA ex art. 79, c. 4, lett. a), CTS, nè a ogni altro tributo (art. 89, c. 18, CTS), compresa l’imposta sugli intrattenimenti.

Il discorso sarebbe diverso nel caso di enti del Terzo settore aventi natura commerciale (art. 79, c. 5, CTS), dei quali al momento non stiamo parlando. In questa sede, diciamo solo che il criterio introdotto dalla Riforma per individuare la natura commerciale dell’ente è quello del superamento della soglia del 5% da parte dei ricavi, rispetto ai costi sostenuti nello svolgimento delle attività.

 

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